Alcune montagne “chiamano” ed il Pizzo Arera, per me è una di queste.
Sarà perché parliamo la stessa lingua, visto che le rocce di questa cima fanno parte del margine settentrionale della placca africana, come i siciliani monti Iblei da cui provengo. In altre parole è come se l’Arera fosse un pezzo d’Africa nelle Orobie bergamasche, un po’ come il sottoscritto.
Imponente blocco calcareo, ricco di minerali e pozzi carsici, con i suoi 2512 m l’Arera domina la scena su un gruppetto di cime più basse delle Prealpi Orobie come il Menna, il Grem, l’Alben.
Mi ha sempre affascinato per il colore grigio chiaro delle sue rocce carbonatiche, le creste frastagliate e biancastre che spiccano nel cielo azzurro e le pareti selvagge e friabili in prossimità della cima; per non parlare degli aspetti botanici, sulle sue pendici c’è una grande biodiversità e crescono numerose specie endemiche delle Orobie, sopravvissute alle ultime glaciazioni.
L’Arera è lì, riconoscibile da lontano, maestoso e rassicurante, come un gigante buono che si fa calpestare docilmente dai passi degli escursionisti…
Salendo in auto da Zambia Alta, mi fermo a raccogliere Alfonso, un gentile autostoppista che mi chiede uno strappo fino alla località Alpe Arera (1590 m). Inizia a raccontarmi della sua passione per le scarpinate in montagna e del richiamo che alcune cime esercitano anche su di lui. Sinceramente non so dire cosa spinga una persona a farsi quasi 900 m di dislivello in salita in una calda e assolata giornata estiva, ma su una cosa siamo d’accordo, la montagna unisce le persone…
Lasciamo l’auto al parcheggio e ci incamminiamo zaino in spalle. Il mio compagno d’escursione parla poco, fatica, ma tiene duro e senza lamentarsi.
La via normale sale dal versante meridionale della montagna, subito dietro al rifugio Capanna 2000; mi fermo a fotografare la Nigritella un’orchidea spontanea che profuma di vaniglia e dal caratteristico colore rosso-nerastro, beviamo e rifiatiamo.
Non appena finisce la parte del percorso in mezzo ai prati, iniziamo a salire sulle rocce seguendo gli omini di pietra fino ad arrivare al canalone dove bisogna superare un breve tratto attrezzato.
Si aggiungono a noi anche altri escursionisti, saliamo col nostro passo, massima concentrazione, l’aria è frizzante, ancora un ultimo sforzo e finalmente siamo siamo in cima.
Toccare la croce, suonare la campanella, tutti gesti di rito che fanno solo da contorno a quella che è sempre un’esperienza intima che avvicina al cielo…buona cima!
Carmi